giovedì 19 dicembre 2013

Saghe interrotte: soluzioni e fesserie -I granchi dell'editoria #8

Qualche tempo fa su Twitter è sbucato fuori l'hashtag #odioleserieinterrotte. Cliccando sulla parola chiave, vi sareste trovati di fronte ad un'ondata di indignazione, livore e scontento. Un gruppo di lettori italiani si stava (giustamente) lamentando del fatto che molte delle loro saghe fossero state interrotte nel corso della pubblicazione, a causa del poco successo di vendite.
Un fenomeno che diventa sempre più evidente nella letteratura di genere, soprattutto urban-fantasy. Da qui l'iniziativa legittima di far sentire la propria voce, di fare rimostranza nei confronti delle case editrici da cui si sono sentiti, in un certo senso, traditi. Oltre al disappunto, però, sono state fatte anche delle proposte per uscire dal pantano delle serie abbandonate, che potete trovare QUI e QUI.
Di seguito le riporto:
A. Pubblicare i numeri successivi a quelli già pubblicati esclusivamente in ebook ad un prezzo ragionevole tra i 2-4 euro
B. Non investire in cover costose, perché non sono quelle che ci interessano.
C. Rinegoziare i diritti d'autore: Spiegando agli agenti degli autori la situazione.
D. Traduzione: fare una sorta di asta tra i traduttori: chi offre la migliore traduzione al prezzo più basso ottiene il lavoro.
E. Commercializzazione dell'ebook: Per evitare di pagare percentuali a siti di vendita on line, perché non usare solo il sito della Casa Editrice?
Intelligente e fattibile la soluzione di pubblicare solo in digitale, attutendo così i costi di stampa e distribuzione. I vantaggi del digitale vanno sfruttati. Il prezzo però in base a quali criteri è stabilito? Purtroppo c'è sempre il problema dell'IVA al 22% e inoltre ebook non è sinonimo di nessun lavoro editoriale. Ci sono sempre molti costi. Direi che ci avviciniamo di più ai 4 euro che ai 2.odioleserieinterrotte-586x199
L'idea di usare solo il sito della Casa Editrice, sarebbe buona anche se in questo caso bisognerebbe fare il doppio del lavoro di distribuzione (i siti di vendita si usano anche per la pubblicità che fanno). Anche qui, chi li paga questi costi? Dietro le case editrici ci sono delle persone che spesso sono sotto pagate e sobbarcate di lavoro. E qui arriviamo al nocciolo dell'intervento. Il discorso sulle traduzioni. Ritengo offensivo il fatto che si proponga ad una persona di lavorare GRATIS per poi svendere la propria fatica al prezzo più infimo. I traduttori non sono abbastanza mal pagati? Una traduzione scadente non è proprio ciò che ci infastidisce di più in un libro? Come si può parlare di “rispetto per il lettore” quando non c'è rispetto per chi lavora? È chiaro che con uno stipendio da fame nessuno si sentirà incentivato e motivato nel fare il proprio meglio. Specialmente se questa è l'idea che voi avete del lavoro altrui. Sgobbare per poi vedere il proprio prodotto venduto sottocosto, quando non direttamente liquidato.
Dietro queste soluzioni, per quanto alcune attuabili, vi è un'idea molto aleatoria e naive di quello che è l'attività di una casa editrice: “parlare con gli agenti spiegando la situazione”?
Comprensibili di certo sono lo scontento e la delusione dei lettori ma d'altronde anche la posizione della casa editrice non è condannabile più di tanto. È legittimo per un'azienda non pubblicare più una saga se non vende. Perché una casa editrice dovrebbe andare in perdita se non crede più nel progetto e gli stessi lettori non ci hanno creduto?
Parliamoci chiaro: nella maggior parte dei casi si tratta di libri commerciali sul quale o c'è un ritorno economico o altrimenti non vale la pena investire a livello intellettuale. Infatti – ahimè sempre meno spesso – una c.e. investe su un contenuto di qualità che non venderà ma che può dargli prestigio. Ma se bisogna investire anche su un contenuto di puro intrattenimento (sacrosanto!) anche quando non vende, siamo al paradosso.

mercoledì 11 dicembre 2013

Consigli per non rovinare il Natale ad un lettore

 Sfatiamo il mito sul ricevere libri a Natale. Un lettore non è sempre felice di ricevere un dono fatto di carta e inchiostro. Non basta avere una forma rettangolare e un titolo stampato sopra per essere un regalo ben gradito. No, non ho il dovere di mostrarmi eccitata solo perché è un libro. Essere un lettore onnivoro non significa leggere qualsiasi cosa. Significa leggere ogni tipo di storia ben raccontata. Essere ben disposti a conoscere scrittori di diverse nazionalità, che trattano temi distanti tra loro con stili molto diversi. Non significa di certo scartare un regalo con occhi sgranati e fiduciosi per poi rimanere inevitabilmente delusi dal nuovo romanzo di Dan Brown (e che originalità, poi). Abbiamo ancora il diritto di rimostranza. Diciamo no alla vessazione di migliaia di lettori, costretti a pagare per la cieca ignoranza in cui vi muovete voi non-lettori. Come si può pensare che ricevere un romanzo scadente possa rendere felice qualcuno? Forse non avete capito che a noi non piace leggere perché ci piace leggere. Altrimenti anche l'elenco telefonico andrebbe bene. Ciò che conta è quello che sta dentro un libro, non è un oggetto vuoto.


Pensereste mai di regalare un pacco di würstel ad un amante della cucina? O un cartone di Tavernello ad un appassionato di vini? Ecco. Quindi per quale ragione dovrei essere felice di ricevere un libro se non è un buon libro? Allora, partecipate anche voi alla campagna: salva un lettore da un abominevole regalo natalizio. Per dire NO a Fabio Volo e Paolo Coehlo. Per la libertà d'indignazione, per il diritto di critica, perché è ora di ribellarsi, amici.
Se proprio non avete modo di accedere alla lista desideri dei vostri cari lettori (che è il modo migliore ed efficace per rendere felice qualcuno), allora dovrete rischiare. Dando ascolto ai miei suggerimenti.
Questi consigli sono basati unicamente sulle letture che ho fatto nel 2013 perciò non lamentatevi che, per esempio, non ci sia Cosmopolis di Don DeLillo.

Romanzi per tutti i gusti: 
Inizio barando perché questi li ho letti nel 2012, però non smetterò mai di consigliarveli:
Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti
Storia parziale delle cause perse di Jennifer Dubois

Il signore degli Orfani di Adam Johnson
Il premio pulitzer non delude. Una narrazione che tenta di spiegare attraverso una storia ricca di simboli il regime della Corea del Nord. Ma non si riduce a questo e diventa una ricerca d'identità e una riflessione sulla verità e sulla menzogna.  Qui la recensione.
Il posto dei miracoli di Grace McCleen 
Un esordio promettente per la scrittrice britannica. Il romanzo è la storia di Judith, una bambina che cresce nell'ambiente soffocante di una comunità religiosa estremista, che crea un mondo tutto suo per cercare di sfuggire alla realtà e di trovare l'affetto del padre. Qui la recensione.
Canada di Richard Ford
Un romanzo eccezionale. La storia di un ragazzo i cui genitori rapinano una banca. Le conseguenze di questo gesto indagate con occhio clinico. Ogni pagliuzza di sentimento. Un romanzo sul senso del limite, sul superamento delle frontiere.  Qui la recensione. 
Le stelle del cane di Peter Heller
Questo romanzo l'ho preso per curiosità. Non ha ricevuto premi importanti, probabilmente l'autore verrà presto dimenticato ma è una bella storia. Un contesto apocalittico, un uomo e un cane. Mi ha veramente preso. Magari regalate Heller quest'anno al posto del solito Ken Follett, che ne dite?
Dio di illusioni di Donna Tartt 
Una scrittrice che non deve mancare nella libreria di...chiunque. Un romanzo che è diventato, per me, oggetto di culto. Qui la recensione. 
Le rane di Mo Yan
Premio Nobel dello scorso anno. Il ritratto di un paese maestoso e terribile. La Cina di Mo Yan divisa tra progresso e tradizione. Un romanzo familiare dalle immagini potenti e dai personaggi straordinari. Attraverso il suo peculiare "realismo magico" Mo Yan affronta un tema spinoso: il controllo delle nascite. Qui la recensione. 
La bellezza delle cose fragile di Taiye Selasi
Un altro ritratto familiare. Di una famiglia africana, emigrata negli Stati Uniti. Un romanzo sul valore dell'identità culturale nel mondo globalizzato ma anche e soprattutto una storia di amori difficili. Qui la recensione. 

Questi li metto insieme perché sono corrosivi.
Don Winslow (prendetene uno qualunque, il capolavoro è Il potere del cane ma a me è piaciuto anche - seppur con riserva - I re del mondo)
Invisible Monsters di Chuck Palahniuk
Rosso americano di Rick Moody. Qui la recensione.

Per gli amanti delle narrazioni surreali e paradossali:
Invito ad una decapitazione di Nabokov
Il processo di Kafka 

L'isola di Arturo di Elsa Morante
Un romanzo che dentro ha tutto.
Una questione privata di Beppe Fenoglio
Oh, Milton. Veramente, se non l'avete ancora letto, vergognatevi.
Qui la recensione
Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino
Il regalo PERFETTO per un lettore. La domanda che si pone Calvino è che cos'è la letteratura?

Questi tre li metto anche se non li ho ancora finiti, perché rappresentano la letteratura italiana contemporanea che non solo è di talento ma addirittura di un talento straordinario. Gettate dalla finestra Fabio Volo.
Resistere non serve a niente di Walter Siti
Mandami tanta vita di Paolo Di Paolo 
Ferito a morte di Raffaele La capria 



Per i ragazzi o per i lettori che non hanno perso la fantasia:
Chi sarà mai a quest'ora di Lemony Snicket (o siete ancora in tempo per recuperare Una serie di sfortunati eventi). Se non sapete chi è Lemony, cliccate qui.
La trilogia di Bartimeus di Jonathan Stroud
Wildwood di Colin Meloy
The Raven boys di Maggie Stiefvater
Eleonor and Park di Rainbow Rowell
Cercando Alaska di John Green

Per gli amanti dei classici: 
I miserabili di Victor Hugo ma se volete veramente distinguervi L'uomo che ride (qui la recensione).
Non so cosa scrivere per convincervi. Potreste pensare, data la mole, che siano noiosi. Ma avreste comunque irrimediabilmente torto. E non sapete quanto. Vi state perdendo bellezza in grande quantità.
Il rosso e il nero di Stendhal 
Julien Sorel, il personaggio perfetto. L'eroe antieroe. Il cattivo, idealista e presuntuoso Julien. Questo romanzo è fantastico.
Cuore di cane di Bulgakov
Un racconto piccino in cui troverete grandi idee. La satira sociale è il fulcro della narrazione. Una Russia in balia degli estremismi, folle e grottesca. Un esperimento alla Frankenstein che porterà il lettore a ridere e a riflettere sui limiti della natura umana e della storia.
Nord e Sud di Elizabeth Gaskell 
Agli amanti di Orgoglio e Pregiudizio: qualcosa di più impegnato, più contraddittorio e più "sporco". Senza rinunciare a del sano sentimentalismo che ci fa innamorare di personaggi di epoche passate, mai esistiti.
Il grande Gatsby o Tenera è la notte di Fitzgerald
Seriamente? Questo blog potrebbe considerarsi il fan-sito ufficiale di Fitzgerald

Ok, questi due non li ho letti ma vorrei che qualcuno me li regalasse, li considero dei capisaldi della letteratura americana
Furore di Steinbeck 
L'urlo e il furore di William Faulkner

Per gli amanti dei racconti: 
Undici solitudini di Yates
Undici anime solitarie, chiuse nella loro infelicità. Una raccolta sulle crepe della vita, sulle fratture dell'America e sulla lotta all'infelicità. Qui la recensione.
Una cosa piccola che sta per esplodere di Cognetti 
Il passaggio dalla linea d'ombra dell'adolescenza ad una fase adulta. Cinque racconti intensi sulla ricerca della propria identità. I protagonisti sono schiacciati sotto il peso di edifici familiari pericolanti che fanno ombra ai loro sogni confusi.
America oggi di Carver
Come per Yates, drammi quotidiani che fanno i conti con l'indifferenza dell'America. Finali brutali, scorci di violenza che scuotono il lettore. Qui la recensione. 
Il nuotatore e altri racconti di Cheever
Il nuotatore credo sia il racconto più bello che ho letto quest'anno. Riesce ad essere originalissimo, vagamente surreale e molto simbolico. Un vero gioiello.
Troppa felicità di Alice Munro. Insomma, è il premio Nobel di quest'anno. Brutta figura non potete fare.
Racconti di Friedrich Durrenmatt
La solita letteratura allegra e piena di speranza, insomma. Racconti sulla caduta, paradossali e grotteschi. Lui è un genio, nel caso non lo conosceste. Donatelo al vostro amico intellettuale, amante di Kafka.

Per gli amanti della non fiction: 
Leviatano di Philiph Hoare 
Un racconto magico di una ricerca. La ricerca del segreto di questo animale leggendario che tanto ha influenzato la letteratura e l'immaginario degli uomini. Un libro che ti appassiona come se fosse un romanzo, un'impresa. Poi quanto sono belle le balene?
La caduta di Diogo Mainardi 
Un bellissimo libro sull'amore paterno, la famiglia e il concetto di normalità. Mi ha lasciato sorpresa. Pensavo fosse un libro shock sulla malattia e invece è scritto in maniera particolare, bella e sincera. Un libro intelligente e di cuore.




giovedì 5 dicembre 2013

La bellezza è crudele. Dio di illusioni, Donna Tartt.

La letteratura è più efficace di un’arma da fuoco. Un proiettile segue una traiettoria breve. Colpisce in un istante. Ultimata la parabola, si conficca nel bersaglio e perde la sua efficacia. La letteratura invece ha un raggio d’azione potenzialmente infinito. Donna Tartt, ad esempio, nel 1992 ha scritto il suo Dio di illusioni (titolo originale: The secret history) e oggi nel 2013 le sue parole come frecce scagliate da un altrove lontano, hanno raggiunto e colpito il mio petto. Il potere strabiliante delle idee. 
Dio di illusioni è un romanzo formidabile. La storia è un susseguirsi di rivelazioni, ma non come potrebbe accadere in un thriller. La narrazione piuttosto si avvicina agli schemi della tragedia greca. E il dio di illusioni del titolo è proprio il dio greco Dioniso. “Maestro d’illusione, rende capaci i suoi devoti di vedere il mondo come non è”. 




La vicenda è ambientata in un elitario college nel Vermont in cui si reca Richard Papen, squattrinato e inquieto giovane, narratore degli eventi. Si lascerà affascinare da un gruppo di cinque brillanti ed eccentrici studenti di greco antico e dal loro professore, Julian, un esteta che esercita sugli allievi una forte seduzione spirituale. Julian contagerà i giovani discepoli con la sua passione per quel mondo antico e misterioso. Un mondo in cui l’irrazionale, il dionisiaco non erano tabù. “È un’idea tipica dei greci, e molto profonda. Bellezza è terrore. Ciò che chiamiamo bello ci fa tremare. E cosa potrebbe essere più terrificante e più bello che perdere ogni controllo?”. Ma instillare queste idee di superamento del reale, in giovani ricchi e annoiati che si sentono onnipotenti non si limita ad essere una dissertazione filosofica. Si trasformerà in una sfida, un gioco pericoloso. Nelle vite dei ragazzi, tra gli stordimenti di alcol e droga, si affaccerà il fantasma della violenza e della depravazione. 

Il romanzo della Tartt si concentra su un’attenta riflessione sul male, condotta dall’interno. Il narratore infatti è un inside man. Richard Papen è un piccolo borghese californiano, un infiltrato nell’elitario circolo di Julian. La sua non appartenenza crea attorno al ristretto simposio una cortina di fascino e attrazione. Julian assume una statura mitica: mentore, figura paterna, ultimo baluardo di bellezza e grazia in una società prosaica e grigia. Henry, i gemelli Charles e Camilla, Francis e Bunny appaiono agli occhi di Richard inarrivabili. Ricchi, bellissimi, onnipotenti. Richard si lascia catturare dal magnetismo dei colti studenti di lingua e cultura greca. Il mondo classico si rivela essere una dimensione magica, di gran lunga più profonda della sua vita che percepisce come spenta e mediocre. Richard, apparentemente insensibile e apatico, si risveglia dal suo torpore e si avvicina grazie alle lezioni di Julian a questo “bellissimo e tormentoso paesaggio, morto da secoli”. Mentre però Richard è un turista ammirato di quel mondo, Julian e soprattutto Henry ne erano abitatori permanenti. Il mondo a noi noto, il mondo del presente, non era la loro vera casa. Studiando le forze incontrollabili che s’impadronivano degli antichi greci durante i baccanali, bramosi d’impadronirsi essi stessi di quelle forze, di raggiungere quello stato di estasi e di riconoscere il sentimento del sublime, i discepoli di Julian coltiveranno un’illusione. L’illusione di ricreare un’epoca remota, l’illusione di essere sganciati dai ritmi e dalla morale che regola il presente. Ingannati dalle loro stesse menti, accecate da un delirio di onnipotenza, i ragazzi si getteranno in dinamiche di gruppo degeneranti che sfoceranno in un atto di brutale violenza. 

The secret history è però un romanzo che non si concentra tanto sull’atto di depravazione, sulla malvagità, quanto su “l’infinità di trucchi grazie ai quali il male si presenta come bene”. Tanto più che i protagonisti hanno un’età vulnerabile (e quanto suona ironico questo aggettivo riferito a tali personaggi!) e sono incapaci di scorgere la trappola in cui sono finiti. La narrazione è estremamente soggettiva e poco lucida. Sia perché il narratore fa spesso uso di sostanze stupefacenti, sia perché egli stesso è continuamente ingannato dalla natura dei personaggi e delle loro azioni. Il racconto procede per ribaltamenti. Chi prima sembrava la vittima, si rivela il carnefice. Ciò che prima appare sublime e lirico, si trasforma in torbida scelleratezza. Le illusioni attorno alle personalità dei personaggi vengono squarciate. Lo stesso romanzo è una continua rivelazione. Sguscia via da qualsiasi definizione di genere. Ha molti elementi del giallo, del thriller, del romanzo psicologico, del romanzo di formazione. Sarebbe fare un torto alla scrittrice racchiuderlo in un’etichetta.

La Tartt intreccia l’interrogativo sul fascino del male con il rapporto tra moralità e denaro. 
Il fatto che i protagonisti appartengano a delle famiglie abbienti (nonostante non abbiano tutti lo stesso livello di agiatezza) è fondamentale. Perché l’azione che i protagonisti compiono è causata da una sorta di distanza dall’ordinario, la solida certezza di appartenere ad un genio superiore. Il denaro li inebria, li fa sentire diversi, migliori, onnipotenti. Ma soprattutto annoiati. Grazie ai soldi di Henry, che non dà alcuna importanza alle contingenze materiali proprio perché troppo ricco per preoccuparsene, i protagonisti diventano in un certo modo insensibili alla vita normale. Si sentono sempre più attratti dall’idea di trasgressione, di vitalità. Diventa un’ossessione: la ricerca di oblio, di un atto che possa ancora di più svincolarli dalla quotidianità e concedergli un singulto vero, difficile da trovare nelle alterazioni di farmaci e altre sostanze inebrianti, a cui ormai sono assuefatti.   

Quello che però potrebbe sembrare un romanzo nichilista (nel senso positivo e vitalistico che gli attribuiva Nietzsche) in realtà cova un severo giudizio morale. Il vero tema del romanzo non è un cinico atto superomistico bensì il senso di colpa. I protagonisti dalla loro perversione non troveranno altro che alienazione e sofferenza. Non quella terribile bellezza che gli antichi greci provarono nella liberazione di ogni istinto. Non reggono il fardello delle loro azioni (“Mi sentii addosso tutta l’amara, irrevocabile realtà della nostra azione, la sua malvagità”). Non superuomini, ragazzi dietro i cui atti si cela egoismo, marciume, perfidia. La bellezza è crudele, khalepà tà kalà. 

“Forse avrebbe considerato quei delitti come delle cose tristi folli tormentate pittoresche (Ho fatto tutto, si vantava il vecchio Tolstoj, anche uccidere un uomo) invece che atti fondamentalmente egoistici e malvagi quali erano”. 

La scrittrice statunitense costruisce un romanzo che è non solo una forte denuncia del vuoto, del potere alienante di una ricchezza, non supportata da altri valori ma anche un romanzo di disillusione e crescita. Descrive perfettamente il passaggio dalla nebulosità e irrequietezza dell’adolescenza ad uno stadio adulto. 


Analisi dei personaggi (solo per chi ha letto il romanzo!)

I personaggi del romanzo sono divisi tra due dimensioni: illusione e realtà. Man mano che la narrazione avanza (e quindi Richard prende coscienza di cosa succede attorno a lui) si accresce il divario tra come appaiono e chi sono realmente i cinque discepoli di Julian. Quello che dapprima gli sembra un circolo di geni superiori in cui è miracolosamente ammesso, si trasforma in un’associazione di capricciosi assassini. Persino dopo aver svelato l’omicidio compiuto, Richard tende a giustificare la loro azione, incolpando lo stato estatico e delirante in cui si trovavano (Henry, Francis e i gemelli organizzano un baccanale durante il quale uccidono per errore un uomo). E paradossalmente è Bunny che, agli occhi di Richard -  indottrinato da Henry e Francis - diventa il colpevole, il pericoloso e instabile traditore che, una volta scoperti, minaccia di rivelare il misfatto. Richard infatti anche in questa situazione si sente privilegiato, è stato scelto quale garante, membro insostituibile del gruppo, custode dell’inconfessabile delitto. Il segreto che condividono quindi è ciò che li unisce, che li legherà per la vita. Non lo sfiora neanche per un secondo, in un primo tempo, il sospetto che il fatto di essere stato reso partecipe, possa rappresentare per lui un danno. Non lo tocca il dubbio di poter essere stato manipolato. Ben presto però il segreto che avrebbe dovuto renderli amici per la vita e per la morte diventa una galleria buia e senza uscita. L’universo meraviglioso di Richard si trasforma in un universo terrificante. 

“Chi erano quelle persone? Quanto le conoscevo? Avrei potuto, al bisogno, fidarmi davvero di loro?”.

Prima di analizzare nel dettaglio gli altri personaggi, è necessario partire proprio da Richard. Uno degli interrogativi più importanti del romanzo è: perché Richard si lascia ingannare così? Perché è giovane? Perché è un ragazzo ordinario che si scontra con lo straordinario? Perché è povero? Probabilmente per tutte queste ragioni insieme. 
Richard sente un complesso d’inferiorità nei confronti del circolo di Julian. Tant’è che la sua infanzia grigia viene sostituita da un passato di ricco californiano, inventato di sana pianta, che riesca a renderlo più simile al club esclusivo. Entra in un universo da cui viene risucchiato e che esercita su di lui, provinciale dalla famiglia ottusa e dalle possibilità limitate, un effetto inebriante. 

“Forse che una cosa come il fatale errore,quell’appariscente cupa frattura che taglia a metà una vita  può esistere al di fuori della letteratura? Una volta pensavo di no. Ora sono dell’opinione contraria. E penso che il mio sia questo: un morboso, coinvolgente desiderio verso tutto ciò che affascina”.

Come non rimanere affascinato dai gemelli? Da Camilla, dalla bellezza di un altro tempo; da Charles, benvoluto da tutti. Come non farsi avvolgere dal carisma da dandy di Francis? E dall’intelligenza di Henry? Henry, cultore delle lingue morte, glaciale e scostante ma che prima gli salva la vita e poi lo reputa addirittura degno di conoscere il loro segreto. Naturalmente la verità viene a galla e Richard capisce che Henry e gli altri gli rivelano il segreto soltanto per anticipare Bunny (che avrebbe rivelato infatti di lì a poco il delitto a Richard, ormai però influenzato e “avvelenato” dalla versione di Henry e Francis). 
Ed è solo la consapevolezza che acquisisce Richard che riesce in un certo senso a salvarlo. Lui è l’unico personaggio che cresce, si allontana e riesce a superare l’esperienza del college mentre gli altri annegheranno nei loro sensi di colpa. Però all’inizio la sua mente è annebbiata, vinta completamente dalla colossale illusione costruita attorno al circolo. 

“Alcune cose sono troppo terribili per entrare a far parte di noi a primo impatto. Altre contengono una tale carica di orrore che mai entreranno dentro di noi. Solamente più tardi nella solitudine, nella memoria, giunge la comprensione: quando le ceneri sono fredde, la gente in lutto è andata via. Quando ci si guarda intorno e ci si ritrova in un mondo completamente diverso”.

Forse, per sua stessa ammissione, il vero peccato di Richard è stata la sua “tendenza a considerare buone le persone interessanti”.

Il nucleo vitale attorno al quale ruotano tutti gli altri personaggi è Henry. “Era l’autore di quel dramma e aveva atteso a lungo, dietro le quinte, il momento di salire sul palcoscenico e recitare il ruolo scritto per se stesso”. Di un’intelligenza sopraffina, ricco oltre ogni immaginazione, distante e freddo. Chiuso nel suo mondo dagli antichi ritmi, dalle lettere antiche e dalle lingue morte. Superiore a chiunque. Un perfetto manipolatore. è lui l’ideatore dell’idea del rito dionisiaco, lui che ha trascinato gli altri nella bufera di trasgressione e depravazione che li avvolgerà. E chi altri se non lui, da cui tutti dipendono economicamente ed emotivamente? Il fatto che lui sia il più agiato, non è un caso. Rientra in quel conflitto tra denaro e morale che la Tartt ha delineato così bene nel racconto. Henry addirittura accoglie con una sorta di perversa curiosità l’ipotesi di dover uccidere Bunny (“sento che si sta profilando per noi una serie di eventi in rapida progressione”). L’architetto di tante macchinazioni, dei cinque l’unico senza rimorsi. Henry arriverà ad ammettere a Richard che la sua vita è sempre stata scialba e stagnante, un luogo deserto, fino a quando non ha ucciso quell’uomo. E paradossalmente avrà la fine più tragica.

L’altro grande protagonista, per quanto nascosto e ai margini della narrazione, è Julian che da benefattore prodigioso passa a vigliacco che si dà alla fuga. Julian è un esteta vanitoso e distante che si gloria del fatto che abbia un’enorme influenza sui suoi allievi salvo poi abbandonare gli stessi quando i suoi discorsi edonistici si concretizzano in un progetto di morte. Da figura paterna amabile e affascinante ad opportunista noncurante e glaciale. 
Julian dimostra una grande freddezza, indossa una maschera di calore che non è altro che l’ennesima illusione di profondità. In realtà, è “rigido come uno specchio”

La cosa più triste è il rapporto tra l’allievo prediletto, Henry, e il vanaglorioso Julian che finirà per abbandonarlo. La loro relazione, che è anche - procedendo per sommi capi -  il motore dell’azione, è l’antitesi del rapporto maestro-allievo raffigurato nel film “L’attimo fuggente”. Il suicidio di Henry è da ricollegare alla spaventosa influenza del professore che è fuggito di fronte ai gesti sconsiderati del discepolo. Henry di certo non si riscatta però dimostra che la delusione che ha procurato a Julian è l’unica cosa che alla fine lo ha commosso, l’unica. 

“Non fu per disperazione né per paura che lo fece. Era la storia con Julian che gli aveva fatto una profonda impressione. Penso che sentisse il bisogno di compiere un gesto nobile, qualcosa che provasse a noi e a se stesso che era di fatto possibile mettere in pratica gli alti astratti principi insegnatici da Julian: dovere, pietà, lealtà e sacrificio. Ricordo il suo riflesso nello specchio mentre si puntava la pistola alla tempia; la sua espressione di folle concentrazione, di trionfo, quasi un tuffatore che corra verso la fine del trampolino: occhi stretti, felice nell’attesa del grande salto”. 

Henry rimane il modello superiore per gli altri, in peggio e in meglio. Un mostro ed un eroe.
Tutti noi abbiamo  bisogno di sentirci vivi e commettiamo gesti estremi. 

All’opposto dell’artificiosità menzognera di Henry, troviamo Bunny. Durante la lettura - ed è questa la bravura della Tartt - vi ritroverete ad odiarlo. Perché penserete che la combriccola di Henry in fondo abbia ragione e debba cavarsela. Il ricatto di Bunny è solo fastidioso ed insopportabile. Quando però insieme a Richard prendiamo coscienza di cosa c’è dietro alle nostre illusioni adolescenziali (il voler credere che una persona interessante sia anche buona e abbia in qualche modo una licenza sul resto del mondo) scopriamo l’amara, brutale realtà. E allora impariamo ad apprezzare il carattere fantomatico, la personalità fumettistica di Edmond. Toccava il cuore delle persone. Un ragazzetto arricchito e pieno di debiti non poteva competere con il fascino degli altri, ai nostri occhi ingenui. Lui era un ragazzo normale, non eccezionale. Sacrificabile. Non comprendeva il fascino del male. Era solo sfrontato, anche un po’ volgare. Non possedeva la fede necessaria per abbandonarsi al baccanale. Non aveva la forza necessaria per comprendere quegli atti di follia e crudeltà. Ha ceduto sotto il peso di un segreto troppo grande per le sue spalle. 

Sullo sfondo, i personaggi più enigmatici: i gemelli, Camilla e Charles. Due gocce d’acqua perturbanti, che nascondono una relazione incestuosa e possessiva. La loro rivelazione è forse quella più inaspettata. Charles, da ragazzo benvoluto e amabile si trasforma in un alcolizzato violento. Camilla, di cui tracciare un ritratto chiaro sembra ancora impossibile, da dolce e affascinante diventa una volubile giocatrice. Il suo personaggio rimane criptico. Forse rappresenta il vuoto della bellezza da cui la Tartt ha cercato di metterci in guardia per tutto il romanzo, quella bellezza di cui tutti s’invaghiscono ma che in fondo non ha niente da offrire. Infatti s’innamorano di lei pressoché tutti. E non posso fare a meno di ricollegare (anche) a lei queste righe: “Non c’è nulla di sbagliato nell’amore per la bellezza ma se non è sposata a qualcosa di più profondo  è sempre superficiale”. 

Francis,infine, è forse l’unico personaggio positivo del clan. Un omosessuale infelice che si lascia trasportare per amore nel delitto. Perché agisce? Probabilmente per il motivo per cui tutti sono nelle mani di Henry: si sentono accettati, accolti in una famiglia. Tutti loro infatti hanno delle situazioni familiari disastrose, ragion per cui Julian appare ai loro occhi così prezioso. Un padre eletto. 

Le domande non trovano risposte esaustive. Le dinamiche di gruppo hanno qualcosa di incomprensibile, una sorta di energia magica. Quelle che Durkheim, studiando i fenomeni religiosi, ha chiamato “effervescenze collettive”, correnti che nascono solo nel gruppo, che generano esaltazione e galvanizzazione degli spiriti, che trascinano e trasformano gli individui., 

Non sarebbe giusto ricondurre i comportamenti dei protagonisti ad una pura logica di istinto di branco, eppure è un’importante elemento psicologico nel romanzo della Tartt. Così Richard si sente coinvolto per il debito nei confronti di Henry e l’attrazione per Camilla, e Francis per l’amore verso Charles, e Camilla per l’amore verso Henry e ancora altre sottilissime dinamiche sotterranee che la Tartt tesse per noi.