giovedì 26 marzo 2015

La verità capovolta, Jennifer duBois



Ma quanto è brutta la copertina italiana?

"Da bambino era stato paziente con le domande, sicuro che un giorno sarebbero arrivate le risposte. E adesso che era cresciuto si voltava a guardare e ritrovava tutte le domande là dove le aveva lasciate: coperte di polvere, forse, ma straordinariamente ben conservate. Le domande duravano più di ogni altra cosa, in realtà; le domande e gli oggetti. Tutto il resto andava verso la distruzione". 


Se il romanzo d'esordio della scrittrice ("Storia parziale delle cause perse") rappresenta l'esempio di una narrazione eccezionale  - soprattutto, ma non solo - per merito della storia, la seconda opera della Dubois ("La verità capovolta") è un libro sorprendentemente ben riuscito nonostante la storia. 
Un episodio di cronaca nera è l'ispirazione per il romanzo, un caso di omicidio piuttosto conosciuto e sfruttato in tutti i modi possibili (dal becero intrattenimento televisivo al sensazionalismo della stampa, al libro verità, al docu-film ecc..). La scelta,  all'apparenza molto scaltra, di riaccendere i riflettori sul delitto di Perugia, l'omicidio di Meredith e il conseguente circo mediatico su Amanda Knox, ricade invece nella categoria: mancanza d'immaginazione. Non che un omicidio non sia interessante. Tuttavia la scelta di questo particolare caso non può che evocare l'immagine di una carogna servita ad un sontuoso ricevimento. Lo spettro del cattivo gusto aleggia su questo romanzo, soprattutto in virtù del fatto che è stato riaperto il processo (e sta per giungere una sentenza proprio in questi giorni!). La letteratura certamente non deve avere argomenti tabù. Eppure non si può dire che la duBois provi a ribaltare certe bassezze compiute all'interno della narrazione dei media tradizionali: lo strisciante sessismo, l'elemento scabroso, la morbosità del connubio erotismo e violenza. 
La cronaca nera gioca da sempre sul giudizio preventivo, sull'apparenza, sul processo alle intenzioni, sul "mai chiarito", che però non è una categoria del pensiero ma un pretesto per poter scegliere da soli il proprio colpevole, il proprio movente, la propria preferenza. 
La duBois è infinitamente più raffinata del grossolano e crudele carosello mediatico. Sì, condanna la superficialità dei giudizi, il cannibalismo dei sentimenti, la parzialità delle storie. Ma in fondo fa tanto meglio? Il suo romanzo è un gioco: sulla fallibilità delle percezioni, sulla verità, sulla psicologia di personaggi nebulosi(forse fin troppo), cerebrali, annosi. Ed ecco perché si resta tanto male alla fine. La desolazione delle ultime trenta pagine ci sorprende e mal si adatta al resto. Tutto il romanzo è ludico, enigmatico, quasi mai drammatico. Siamo affascinati, mai pienamente coinvolti. Capiamo Lily,  apprezziamo il suo carattere ambivalente, egocentrico e inconsapevole, di un’inconsapevolezza fatale che ti porta a cacciarti nelle situazioni più spiacevoli per quell’assurda convinzione che il male non ti tocchi.  Sviluppiamo empatia, soprattutto perché sappiamo che Lily è una persona come noi, reale, possibile, complessa.  è una ragazza che fa la ruota durante un interrogatorio.  Il perché però è lasciato all’interpretazione. Questo è il problema. Il fatto che nel romanzo della duBois, esattamente come in un servizio di cronaca nera trasmesso al telegiornale, tutto si trasformi alla fine in un gioco delle parti. E ti senti anche tu uno spettatore idiota che magari ci ha creduto alla buona fede del sospettato x e invece che peccato dovrai pagare la scommessa al tuo barbiere che invece aveva puntato sull’altro, quello innocente. 
Il punto è che non c’è una morale più profonda di questa. è un romanzo straordinariamente buono nella misura in cui tutti i personaggi hanno una voce distintiva, bella, potente. è un romanzo riuscito perché nonostante la storia si trascini più del dovuto verso volute davvero non necessarie, resti lì a leggere perché la duBois è così brava nell’avvincere il lettore alle sue parole, così lontane dall’ordinario, dal prosaico. è un bel romanzo perché ti lascia sperare che ci sia qualcosa di più rispetto al gioco vero/falso e in effetti c’è: nel groviglio di storie e ricordi e malinconie che sparpaglia intorno la scrittrice, nei dettagli sommersi del resoconto dei personaggi. Al centro però c’è una storia evitabile, brutale senza essere null’altro che questo. 

Il finale è doppiamente malvagio: da un lato, ti fa stare male quasi fisicamente perché hai vissuto nella mente di personaggi brillanti ma non così tanto da sfuggire alla bestialità del mondo. Dall’altro, ti lascia l’amarezza di  aver letto un romanzo di una brava scrittrice che ha deciso di prendere una scorciatoia.  No, non ci sono beceri colpi di scena o scivoloni disastrosi ma rimane un romanzo che sfiorisce in fretta. 

Note a margine: titolo in italiano decente, peccato che in inglese il senso è decisamente meno banale e si riferisce alla ruota che la protagonista esegue mentre è interrogata dalla polizia. Gesto che getta sospetti e ambiguità sulla protagonista: fredda calcolatrice o ingenua vittima delle circostanze?
La copertina italiana invece non mi piace, la trovo asettica. Molto meglio l'originale.


lunedì 16 marzo 2015

Annientamento di Jeff Vandermeer. Luoghi non segnati sulle mappe.


“L’osservazione di tutto questo ha soffocato le ultime ceneri del mio irresistibile impulso a conoscere ogni cosa…”.

Quattro donne senza nome si avventurano per scopi scientifici all’interno dell’Area X. Si tratta della dodicesima spedizione all’interno della zona: un’area disabitata sulla costa americana che la natura ha iniziato a reclamare per sé. Un luogo altro, in cui le leggi fisiche sembrano rispondere ad altri dettami, in cui opera una Forza che altera l’ambiente in modi imprevedibili e innaturali. La Southern Reach, segreta agenzia governativa, è incaricata di indagare sulle anomalie del luogo attraverso cicliche missioni di scienziati, il cui compito principe è l’osservazione. Scrivono i risultati della loro esplorazione su un diario (e sono proprio le pagine del diario della Biologa che leggeremo). Sono vietate le comunicazioni verso l’esterno così come l’uso di strumenti tecnologici. 

Annientamento è caratterizzato dal ritorno al primitivo. Jeff Vandermeer ci introduce in un contesto selvaggio, primordiale, fitto di mistero, al confine con il paranormale. Adesso che siamo così immersi nella cultura tecnologica, in cui si ingigantiscono le ombre degli incubi proiettati dalla fantascienza, Hal 9000 e leggi della robotica sono messi da parte. 
La lotta ingaggiata in Annientamento non riguarda l’uomo e le sue creature. Più vicino è forse Alien e il suo predatore dall’intelligenza spietata. Tuttavia il senso incombente di minaccia inevitabile - così ben reso dalll’autore - non proviene dall’esterno, nello Spazio sconfinato. L’attenzione è rivolta al nostro pianeta. Perché cercare altrove se così poco percepiamo e conosciamo del nostro mondo, di cui ci crediamo i padroni? 

Tutto ciò che succede nell’Area X è infatti oltre la capacità dei sensi umani di capire e orientarsi. Figuriamoci di controllarne l’ambiente. Apprendiamo che l’Area si è formata a seguito di un disastro ecologico, causato dall’azione umana. La zona contaminata è la risposta della Natura agli effetti devastanti dell’umanità. Anziché considerare il nostro pianeta come qualcosa di dato ed immutabile, Vandermeer ci apre gli occhi su come la Natura sia sempre in fase di mutazione, imprevedibile, adattivo. E se la Terra avesse creato una forza superiore all’Uomo, che possa contrastarlo, assimilarlo, annientarlo? 

La narrazione è investita da una grande attenzione alla percezione. L’autore possiede un’intensa consapevolezza di quanti mondi nascosti vi siano al di sotto dei paesaggi naturali e sulla fallacia dei sensi umani di percepirli. Gioca su questa mancanza.  
La protagonista di Annientamento vede ribollire l’inspiegabile, tenta di risolvere l’enigma dell’ignoto con mezzi razionali (con quanta sicurezza all’inizio si aggrapperà al suo microscopio!). Chi meglio di lei? Biologa, esperta degli ecosistemi in transizione, figlia unica ed esperta negli usi della solitudine, un’osservatrice perfetta, che si mimetizza, si confonde con il paesaggio. Il suo soprannome è uccello fantasma
Probabilmente proprio grazie a queste sue capacità di adattamento, subisce da subito l’influenza dell’Area X, ne è infettata. Diventa quindi una narratrice inaffidabile: la sua percezione dell’ambiente è amplificata, distorta. Il suo è un viaggio incubo che la porterà ad un mutamento totale, una metamorfosi.

Vandermeer sembra andare oltre al genere del body horror alla Cronenberg. Annientamento è un lavoro che fa dell’ibridazione una cifra stilistica, non solo il nucleo narrativo. La contaminazione è presente nell’ambiente, nei personaggi, nello stile. è possibile creare dei parallelismi con Lost, Alien, Stalker e autori come Lovecraft, China Mieville, Clive Barker. Le influenze sono tante, la rielaborazione che ne fa Vandermeer si rifiuta di essere etichettata. 

La corrente è quella del new weird che accoglie autori anti-tolkeniani, impegnati nella creazione di mondi ibridi, al confine tra fantasy e fantascienza, originali e rigorosamente verosimili. Altra caratteristica è quella di arricchire la narrazione di un tessuto simbolico fitto e donare una complessità psicologica ai personaggi che permetta di superare le distinzioni canoniche tra bene e male. Proprio questo elemento aggiunge ancora più ambiguità alla storia. Viene in mente la citazione di Lorne Malvo in Fargo (serie tv): “There are no saints in animal kingdom. Only breakfast and dinner”. Non ci sono santi nel regno animale: solo colazione e cena. L’Area X è un luogo ancestrale, l’orientamento (soprattutto morale) è reso vano dalla più micidiale delle tecnologie: il mimetismo. Distinguere la realtà dai suoi camuffamenti è decisivo per la sopravvivenza. 

Annientamento è una fionda tesa. La fascinazione verso il mistero insondabile non basta, ciò che dona bellezza inquietante alla storia è la vena immaginifica dello scrittore, le brillanti riflessioni sui limiti del sapere e soprattutto l’indagine nella mente della protagonista. Che cosa l’ha condotta davvero nell’Area X? Qual è la sua storia?
Il romanzo è un’angosciosa apnea, disturbante e contorto, ti lascia in uno stato di indeterminatezza. Le risposte sono poche ma non inesistenti o incoerenti (qualcuno ha citato Lost una volta di troppo). La filosofia è questa: “Quando siamo troppo vicini al cuore di un mistero, non c’è modo di riallontanarsi per vederlo nel suo insieme”.
Dobbiamo, come la Biologa, accontentarci di indizi, deduzioni, approssimative e parziali.

“Mi rendo conto che tutti questi ragionamenti sono incompleti, inesatti, imprecisi, inutili. Se non ho vere risposte è perché non sappiamo ancora cosa chiederci. I nostri strumenti sono inutili, i nostri metodi approssimativi, le nostre motivazioni egoistiche”. 

Annientamento è un luogo non segnato sulla mappa: difficile inquadrarlo; inoltrarsi al suo interno può essere azzardato ma, una volta entrati, la curiosità avrà la meglio. 

Note a margine:
L'aspetto che mi ha più colpito del romanzo è l'attenzione meticolosa al mimetismo. Io ho delle teorie riguardo alle misteriose creature della storia che si rifanno precisamente a questa capacità naturale che trovo stupefacente e pericolosissima. Attendo di parlarvene prossimamente in un post zeppo di spoiler.
Qui potete trovare un elenco di tutti i libri che hanno aiutato l'autore alla composizione del romanzo. Domani, 17 Marzo, sarò a Torino per partecipare ad un incontro con l'autore, insieme ad altri blogger, giornalisti e scrittori. Non vedo l'ora.
Annientamento è il primo romanzo della trilogia dell'Area X che uscirà nel corso di quest'anno, sempre per Einaudi.
La bellissima copertina è opera di LRNZ (autore di Golem, Bao). Si è occupato anche delle copertine degli altri due volumi della trilogia a cui potete dare una sbirciata qui.

martedì 3 marzo 2015

Il business plan non è la lista della spesa #Dilloinitaliano


Sto cercando di smetterla di utilizzare termini inglesi (o meglio, il celebre mezzo-inglese) per ogni quisquilia perfettamente traducibile in italiano da quando ho letto di questa iniziativa dell'Accademia della Crusca (hanno lanciato anche un hashtag: #dilloinitaliano ). Ditemi che anche voi avete lo stesso problema. Non mi reputo una di quelle sciroccate che usa termini come briefare, brainstorming (per indicare l'incontro al bar con gli altri anziani ed elaborare la strategia migliore per far suonare meglio l'ascella), cool, car-sharing, meeting, droppare, killare, deliverare (santo cielo), apericena (ah, questo non è un termine mongo-inglese? ah, avete ragione, questo è solo ILLEGALE). Tuttavia devo dire che anch'io ho ceduto a diversi termini malevoli come, ahimè, instagrammo, che almeno, però, uso con la giusta dose di ironia. E ammetto con vergogna di aver pronunciato fin troppo spesso "top" come un milanese qualunque.
Sarà che studiando economia aziendale e marketing mi sono sentita più dentro ad una distopia con un linguaggio tecnico-rincoglionente, oltre che brutto quanto i gemellini Miseria e Ignoranza ne Il canto di Natale di Dickens. Mi serve un brainwash...ehm...un cambiamento radicale. L'iniziativa #dilloinitaliano potrebbe aiutarvi a non sembrare arrogante e fulminato come Flavio Briatore (memento: ha chiamato suo figlio NATHAN FALCO).
Le contaminazioni dalle altre lingue ovviamente sono bellissime. I prestiti, tuttavia, sono riusciti ed eleganti quando veramente arricchiscono una lingua, non quando la storpiano. E soprattutto: volete veramente incominciare a parlare come Nicole Minetti?
Vi giuro che ho sentito in tram una signora dire che necessitava di un hair stylist. UN PARRUCCHIERE, signò. Un parrucchiere, si chiama.
Fate un piccolo sforzo, fate sparire dal vostro vocabolario termini come: mission, vision. Compra una vocale, gira la ruota e salva una parola in italiano!
Avete notato, poi, come ci sia una coincidenza che crea quasi spavento tra le persone che parlano come dei profughi dal Paese a metà strada tra Ibiza e la Costa Smeralda e il non conoscere nemmeno per sbaglio la lingua inglese? Fateci caso. Sono degli impostori, degli ingannevoli fingitori. E no, non come il poeta.
Un conto è il linguaggio specialistico adatto ad ogni settore lavorativo (come nel caso della comunicazione e dell'economia), un altro è usare espressioni come "sei out", skills, appeal, asset, wrap-up (!!!). Amici, il business plan non è un termine adatto per indicare la lista della spesa. Senza contare che un mortaccitua non sarà italiano standard ma è sempre valido.
Nel caso di dubbi, trovate qui un compendio di 300 parole da dire in italiano che non hanno nessun bisogno di essere rese in inglese.

Discorso a parte va fatto per il linguaggio cciovane, il genere di abomini partoriti dalle chat che DEVONO rimanere nelle chat. Sto parlando di tutto l'armamentario di LOL, YOLO (ancora non ho capito che accidenti voglia dire), IMHO, LMFAO ecc.. Se questi termini sono assolutamente impronunziabili o ancora peggio vi fanno assomigliare a dei lama sotto sedativi quando vengono emessi dalle vostre boccucce di rosa significa che sono nati per essere scritti (se proprio dovete usarli anche lì).
Attendo con terrore il momento in cui troverete il modo di tormentare noi poveri plebei con il simbolo della luna nera delle culture giovanili ai giorni nostri: la faccina XD. Smettetela, vi supplico.

L'unico mezzo inglese riconosciuto dalla sottoscritta è questo capolavoro:


P.S. Mi rendo conto di quanto sia ironico il fatto che la petizione in realtà salti fuori come petition ma la giustificazione c'è: il sito è internazionale.